Lost in the Current

excerpt from Chapter 11 of “The Digitally Divided Self : Relinquishing our Awareness to the Internet

Human beings evolved with a terror of predators, so that visual or audio signals are associated with something potentially dangerous. When threatened, the instinctual brain mechanisms, located especially in the amygdala, become activated.

First described by Ivan Pavlov in 1927, the “orienting response” is our instinctive reaction to any sudden or novel stimulus, visual or auditory. This ancient survival mechanism is one of the reasons why it’s difficult to sit in front of a TV and ignore the moving images. Each time we attend to a new stimulus, the mechanism of reward is activated. On the neurophysiological level, dopamine is released, leading to a sense of well-being and euphoria – thus reinforcing our reaction and improving our chances of staying alive. Though we rarely encounter predators any more, the mechanisms remain in the brain. Whatever facilitates survival of the species is gratifying – like the pleasure of sexual engagement.

Attend to This!

The events on the Net which anticipate and activate the reward system are numerous: new email announcements, instant messages, Twitter or Facebook updates, new articles in blogs, video games, news. The amygdala is stimulated by all the media. And the Internet has multiplied the stimuli by concentrating the textual, visual, auditory, and interactive channels in a single medium.

The inner reward system makes us attend to information. By interacting with it we produce new information ourself. The reward system is activated even when we anticipate a reward. So a simple sound that signals an incoming email or IM text releases dopamine – even when a spam message is delivered.

A research presented to the British Psychological Society’s Division of Occupational Psychology Conference in January 2012 found that some people are so obsessed about checking their email and social networks that they experience “phantom” vibrations of their phones when no message had actually been received.

Any action that activates the reward mechanism also activates another mechanism: that of addiction. Even if they are not badly addicted, many people – myself included – experience difficulty stopping online activity. Stimuli which previously evoked a certain neural response, over time produce less effect. So, it’s necessary to have more stimuli that are more intense, more varied, and more frequently.

To achieve this, we need more computing power and faster Internet to manage the increasing number of events running simultaneously on the screen. Technological development is pushed by the greed for “more” and “faster.” The brain, particularly the amygdala and the hippocampus, mistakes the continuous stimuli with survival, so it becomes difficult to turn away from the source of stimulation.

While it’s difficult to ignore a nearby TV, the computer is even more powerful and complex, because it adds the frenzied activity of chasing and producing information to the passive staring at a screen. Besides the neurological triggering of the survival mechanism, much web content actually relates to survival – being sexual or financial, including online gambling, auctions and stock investing – which activates the dopamine shots.

Seeking social stimulation is not traditionally considered compulsive or addictive, but as technology co-opts social life as one more window present on the screen, it is possible to become a Facebook addict because of the dopamine reaction.

Fundamentally, both TV and computer screens are about moving images. Seeing something new moving activates the orienting response. While TV editors increase the number of cuts and effects in order to hold attention, the Internet generates an even larger number of interruptions as we open multiple windows, run several programs simultaneously, and communicate by instant messaging.

Since it would be nonsense to react physically to an image on a screen as if a beast were threatening us, like we did in ancient times when a potentially threatening change took place in our surrounding, we have learned to suppress emotions and inhibit our reactions. But they aren’t really gone, building up as tension in the nervous system. In bioenergetic terms, there’s a charge but no discharge. In other words, stress and frustration build, even though it’s often not perceived consciously.

L’edizione Italiana di “The Digitally Divided Self” verrà pubblicata ad Aprile 2013 da Bollati-Boringhieri.

When the iPhone replaces the syringe: communication as a form of pathology

Quando l’iPhone sostituisce la siringa: la comunicazione come forma di patologia

Sorry this is a guest post only in Italian.

Laura (ma il nome è di fantasia) è una mia amica. Ha una laurea, ha militato in politica quando era più giovane, ha una casa piena di libri che in buona parte ha letto, aveva un marito che ha lasciato per un altro uomo quando ha cominciato a sentirsi vecchia e ora, non so, forse ha degli amanti. Insomma Laura ha avuto e ancora ha una vita intensa.

Ma qualcosa non torna. Ogni mattina scrive “buongiorno” e ogni sera “buonanotte” su Twitter e di rimbalzo anche su Facebook, e durante il giorno commenta in tempo reale con pensieri irrilevanti le sue attività. Cercare il link giusto da postare sulla sua bacheca online sembra essere diventato per lei tanto importante quanto prendersi cura della propria igiene personale.

È caduta anche nella trappola dei talkshow, specie quelli furbi pensati apposta per gli utenti come lei (che mai guarderebbero “L’Isola dei Famosi” ma che non si perdono una puntata di “Che tempo che fa”…), e mentre guarda la televisione commenta in tempo reale sui social network quello che il conduttore e l’ospite dicono, come se il suo cervello fosse collegato a internet a sua insaputa o come se la sua opinione fosse richiesta da una platea che la segue con attenzione… ma dall’altra parte del suo iPhone non c’è nessuno o, per meglio dire, ci sono milioni di altri naufraghi che, come lei, gridano aiuto alla deriva nel vuoto cosmico della modernità.

Carla è un’altra amica. Ricordo come compativa Berlusconi quando, ai tempi, trapelò la notizia che faceva sparire da tutte le agenzie fotografiche d’Italia le foto che lo ritraevano in pose sbilenche o con smorfie buffe… “che uomo ridicolo e patetico”, diceva. Oggi anche Carla è su Facebook. Ha postato oltre 100 foto che la ritraggono in tutte le situazioni (dal bichini al tailleur), e si capisce lontano un miglio che sono foto scelte per trasmettere di lei l’immagine più fresca e appetibile possibile, sebbene sia una donna di mezza età e abbia una famiglia.

Primi piani studiati allo specchio, pose che simulano spontaneità ma che sono invece calcolate per mostrare ad arte le forme del suo corpo, sguardi intensi che vogliono comunicare dal monitor dio solo sa cosa, scatti che si capisce benissimo sono stati accuratamente selezionati fra migliaia di altri per trasmettere una falsa immagine di sé… proprio come Berlusconi, che tanto la faceva indignare… ai tempi…

Laura e Carla non sono una eccezione. Oggi sono la norma.

Dalla patologia come forma di comunicazione siamo approdati nel giro di qualche anno alla situazione contraria.

Negli ultimi anni i manuali di medicina si sono dovuti aggiornare  per includere le molte Laura e Carla in quelle che ora vengono definite le “nuove sindromi da addiction”, ossia la dipendenza senza sostanze, qualcosa che dovrebbe avere a che fare più con la psicologia che con la patologia, ma pare che l’approccio psicologico non dia i risultati sperati, perché tali comportamenti presentano le stesse caratteristiche della dipendenza fisiologica da sostanze: l’evoluzione ad escalation della cattiva abitudine, il malessere che subentra nell’interrompere il comportamento, l’incapacità di temperare tali impulsi… e pertanto l’unica opzione che resta è trattare questi comportamenti come malattie vere e proprie, con adeguate terapie farmacologiche.

Personalmente sono contro ogni forma di approccio chimico ai problemi dell’anima, quindi non suggerirei mai e poi mai alle mie amiche di cui sopra di farsi prescrivere qualche farmaco di nuova generazione dal loro medico per riuscire a comprendere quanto è insidioso il sentiero che stanno percorrendo… ciò non toglie che bisogna ammettere che nessun approccio di tipo umanistico è realmente in grado di frenare comportamenti sociali, neppure quando incredibilmente stupidi o alienanti o distruttivi, se questi affondano le radici nello spirito del tempo.

Ad esempio, a limitare l’uso dell’automobile non sono stati i dati allarmanti sull’inquinamento; la devastazione dei centri storici che è sotto gli occhi di tutti; l’aumento spropositato di strade, autostrade e parcheggi a discapito di aree verdi e ambienti naturali; il numeri di morti e feriti in incidenti pari a quello di una guerra mondiale; la consapevolezza che intorno al petrolio ruotano alcuni dei più efferati crimini contro l’umanità… a limitare l’uso dell’automobile è stato l’aumento del prezzo della benzina: è solo il fatto che un litro di benzina costi veramente tanto che ha scoraggiato gli individui dal ricorrere all’auto per ogni spostamento.

Gli imperativi rivolti all’etica, alla morale, alla solidarietà, all’ecologia, e a tante altre belle ideologie servono a poco o nulla ai fini del ridimensionamento degli aspetti insidiosi della modernità. Anche essere iperattivi nei social network, fintanto  che sarà coerente con il modello sociale in voga, pur essendo una grave forma di riduzione del Sé e una patologia socio-sintonica, impedirà alle persone di percepirsi come portatrici di un disturbo, di un problema, di un deficit affettivo… “Il vivere all’interno di una cornice culturale e di una pressione sociale dove governano l’immediatezza, l’apparenza, il “vincere facile”, il “qui e ora”, non può e non poteva che portare a forme di patologie coerenti e governate dalla incapacità/impossibilità di contenersi, dalla necessità di soddisfare ogni desiderio e piacere”, fa notare Mauro Croce (1).

Fra le nuove pulsioni create da questo modello sociale c’è l’ossessione per il riconoscimento sociale. Oggi molto più che in passato le persone vogliono essere notate, vogliono essere ammirate e desiderate, vogliono essere sempre al centro dell’attenzione. Perché? Perché sì. Perché questo è riconosciuto come il principale parametro sociale per misurare il proprio valore, e questa idea si è infiltrata talmente in profondità che persino l’autocoscienza e la percezione di sé si basa più sulla visibilità sociale che sulla propria vita reale.

Non è più una questione di narcisismo o di volontà di potere, siamo andati oltre, sta diventando una questione di valori esistenziali, la sorgente da cui scaturiscono le motivazioni per continuare a vivere; ovvero non è più solo una parte della popolazione ad agire (sgomitando, vendendosi, corrompendo…) per cercare di salire quanto più in alto possibile nella scala gerarchica basata su soldi, fama e potere, ma ora questa aspirazione si è diffusa anche fra le persone normali, nate senza una ipertrofia dell’ego.

La spettacolarizzazione del corpus sociale ha fatto credere che non esistono alternative, che non ci sono altre vie: visibilità e autostima coincidono; il successo legato alla visibilità attesta che la propria vita ha un senso, mentre senza visibilità vengono meno anche le motivazioni per agire e il motore che spinge il nostro essere rallenta, perde giri…

Chi potere e successo ce l’ha davvero lo lottizza e lo monopolizza; chi invece non ce l’ha lo simula, per esempio con l’attivismo compulsivo in rete; adottando qualsiasi prodotto o stile di vita che rappresenta la tendenza del momento; consumando la produzione (commerciale ma anche culturale) dei personaggi mediatici e delle star sulla cresta dell’onda… questi sono tutti tentativi di far credere a sé stessi e agli altri che non si è emarginati, che si ha uno spessore sociale rilevante e dunque un alto potenziale intellettuale, che si è proprio al centro del flusso degli eventi, che non si è insomma degli invisibili, degli sfigati.

Essere modaioli non è un complimento e a nessuno piace riconoscersi come tale, eppure allontanarsi dalle mode sociali dominanti risulta impossibile a molti, perché lo avvertono come una perdita di significato della propria vita, e perdendo questo perdono anche la voglia di viverla. Si arriva persino all’eccesso: se i media danno la notizia di un suicidio, ovvero lo spettacolarizzano, subito dopo c’è un picco degli emuli, soprattutto fra i giovani, che subiscono il fascino della glamourisation del gesto suicidale.

“Viviamo nella dimensione dell’anticipazione dei desideri. I desideri non nascono più da pulsioni interne, ma dalla scelta delle soluzioni fornite dall’esterno. Viviamo nell’eccesso: eccesso di mezzi, di strumenti, di ignoranza. Il risultato è incomprensione della realtà, incomprensione di noi stessi, incomprensione.” dice Claudio Misculin, artista che lavorando con i matti ha orizzonti mentali assai più aperti di chiunque altro (2).

Il grande inganno di quest’epoca è dunque proprio questo: quanto più si adottano gli stili di vita dominanti, tanto più si è in grado di dare un significato alla propria vita.

E se le tendenze sociali dicono che il modello vincente è uno e uno soltanto (per esempio: giovane, magro, bello, ricco, famoso…) non c’è scampo alla disillusione di sé e alla perdita di motivazione esistenziale quando da tale modello si è lontani (non meglio, non peggio: lontani), e questo accade nella stragrande maggioranza dei casi, perché la natura non è così stupida da farci tutti uguali.

È il principio di fondo della teoria ariana nazionalsocialista: gli ariani sono la razza vincente, tutte le altre sono perdenti e come tali inutili, da scartare, da eliminare, da incenerire…

In un mondo in cui solo una minima parte sono alti, biondi e con gli occhi azzurri bisognerebbe impedire che passi l’idea che le opportunità debbano essere date solo a quelli alti, biondi e con gli occhi azzurri. Invece è esattamente quello che è accaduto in quest’epoca. Gli “attributi ariani” oggi hanno a che fare più con il riconoscimento sociale che con il colore degli occhi, più con la visibilità mediatica che con la forma degli zigomi… ma la sostanza non cambia: i non-ariani sono isolati, allontanati dai salotti nobili della società, deprivati di qualsiasi opportunità a cui pure avrebbero diritto in virtù dei loro meriti effettivi per far spazio ai membri che appartengono alla giusta “razza”: i parenti di, gli iscritti a, gli amici di, gli appartenenti a, i confratelli con..

Per tutti gli altri, ossia per il 99% della popolazione, non c’è posto nella vita sociale e culturale del Paese, non importa quali meriti e talenti abbiano: si accomodino pure su Facebook per favore, e non rompano i coglioni.

Aver concesso a delle èlite di governare la società, significa aver lasciato che si formasse una società su base elitaria. Oggi questo boomerang sta tornando indietro e gli effetti sono che la solitudine e il tedium vitae stanno diffondendosi a macchia d’olio, e non perché sono le pulsioni più forti dell’animo umano, bensì perché sono stati annichiliti i loro naturali antidoti: la capacità di provare interesse per il mondo circostante, di coltivare una rete relazionale locale, di sopportare un po’ di fatica e sofferenza (inevitabili e congenite alla natura stessa della vita), di accettarsi per come si è, di trarre piacere da ciò di cui disponiamo realmente… insomma l’incapacità di vivere nella realtà.

E non a caso uno dei business più fiorenti in quest’epoca di smarrimento è qualcosa che vent’anni fa neppure il più cinico profeta del futuro avrebbe potuto immaginare: i social network, ossia un nuovo mercato che gestisce le relazioni sociali e amicali. Questo mostra chiaramente ciò che Jean Baudrillard ha indicato essere la conseguenza più grave della postmodernità: l’uccisione del reale.

Chi ha abbassato la guardia e si è lasciato sedurre dagli abili manipolatori sociali, ora si trova senza le naturali risorse di rigenerazione del Sé di cui l’anima – ogni anima – dispone, e compie il primo passo verso quelle che il filosofo canadese Ian Hacking ha definito “malattie mentali transitorie”, ossia comportamenti deviati non a causa di una effettiva patologia insita nell’individuo, ma della sua incapacità a sottrarsi a condizioni di vita contestuali e storiche che generano, appunto, stati mentali patologici. Ripristinando una condizione equilibrata di vita, si ripristina la salute mentale del soggetto.

Bene, ora la domandona finale: come fare a ripristinare condizioni di vita salutari e appaganti – almeno per sé se non per l’intera comunità – che inducano spontaneamente ad allontanarsi dalle patologie sociali e riappropriarsi della propria identità?

Note

1 – “Consuma senza limiti, ma con moderazione”, di Mauro Croce, pubblicato sul numero 255 agosto/settembre 2011 di “Animazione Sociale”.

2 – Tratto da “Noi, gli errori che permettono la vostra intelligenza” di Claudio Misculin, pubblicato su “Communitas” n. 12/2006.

Originalmente pubblicato su Ellin Selae n. 107

The Real Freedom is in Paper Books

La vera libertà è nei libri di carta

In recent years, for various reasons, I have had to pack my books several times (moving residences or moving some of them to the basement to occupy less space at home). Having thousands of books means lengthy related tasks and heavy boxes to carry.

If all of my printed books were digitally squeezed into an ebook reader, I would carry minimal weight and could access them wherever I went; I would have my complete library at my fingertips. I could also free some space in my house. Nonetheless, I do not regret having purchased and carried my paper books.

Recently, I wanted to try an ebook reader and bought a number of ebooks, especially for traveling. However, I ended up also buying the printed edition, even though this meant carrying they physical books back and forth between Europe and Asia.

Printed books offer a freedom that is still unsurpassed by digital technology. Now that summer is approaching, I can leave my printed books on the beach without fear that they will be damaged by sand or a ball, or be stolen. Coffee and other liquids can stain a paper book but the book will not be completely damaged.

Having a baby around paper books is not a problem. The baby may tear a few pages, stain or step on the book, or use the book as a toy, but the usefulness of the paper book remains. A paper book as an “analogical” technology degrades gracefully, but digital technologies either work or do not work.

Reading a printed book in the sun is easier than reading a screen, despite the best and most impressive advances in screen technology.
When electricity will be interrupted because of energy prices, and I cannot recharge my electronic gadgets, my paper books are still available for reading.

When the failure of only one electronic component jeopardizes an entire ebook reader, my paper books are still around, even though they may be yellowish, damp, or have torn pages.

If I cannot afford to upgrade to ever more sophisticated iPads and Kindles, my paper books will not need an upgrade. When the rare earth metals required for electronics are gone, paper books will be cheaper than their electronic counterparts, when considering the price of the hardware. Paper is a highly renewable resource if used with the right criteria.

A few companies control the ebook market and governments are able to know and potentially control the types of books we read by deciding on what’s good and what’s not good and by interfering with our uploads. If this happens (we are not that far from its occurrence), I will still be able to read my preferred paper books. Prohibited or controversial paper books have always been available, even under the most repressive regimes (though with greater difficulty), whereas electronic information can be easily traced and blocked.

My printed books simply need to be carried, whereas an electronic reader requires the right lighting conditions, electricity or batteries, cables, and often an Internet connection.

My printed books age with me, whereas an ebook reader becomes obsolete and needs to be replaced at regular intervals. My paper books do not blink, do not require Internet connections, do not see others’ annotations and comments, do not connect with readers’ social networks, do not talk, and do not do anything except exist to be read.

Thus the words from a printed book can resound inwardly because of the surrounding emptiness, like the beats from a well-tuned drum.

Negli ultimi anni, per varie ragioni, mi sono trovare ad inscatolare i miei libri in diverse occasioni (anche solo per spostarne una parte in cantina quando stavano invadendo la casa). Avendo migliaia di libri, significa tanto lavoro e scatole pesanti da maneggiare.

Se tutti i miei libri si trovassero in formato digitale all’interno di un lettore ebook, il peso totale sarebbe insignificante e potrei accedere a tutta la mia biblioteca ovunque mi trovassi. Inoltre potrei liberare spazio in casa. Ciò nonostante, non rimpiango di aver acquistato e di aver trasportato i miei libri stampati.

Recentemente ho voluto provare a leggere su ebook invece che su carta, in particolare durante gli spostamenti. Però alla fine ho acquistato anche la versione stampata, non tanto per una visione nostalgica dei libri, ma perchè con il lettore digitale non potevo immergermi nella lettura. Sono ritornato alla carta anche se questo comportava portarmi del peso avanti e indietro tra viaggi e spostamenti.

I libri stampati offrono un grado di libertà che non è stato ancora superato dalle tecnologie digitali. Ora che sta arrivando l’estate, posso lasciare i miei libri cartacei in spiaggia senza timore che possano essere danneggiati dalla sabbia, da una palla o che vengano rubati. Una bibita o altri liquidi possono macchiare un libro ma questo non potrà essere danneggiato più di un tanto.

Un bimbo che gira intorno ai libri stampati non rappresenta un problema. Il bimbo potrà forse strapparne alcune pagine, sporcarlo o camminare sul libro, oppure usarlo come un giocattolo, ma la funzione del libro rimane. Un libro cartaceo, in quanto tecnologia “analogica”, degrada con grazia, mentre le tecnologie digitali o funzionano o non funzionano.

Leggere un libro stampato al sole è meglio che leggerlo su uno schermo, nonostante i migliori sviluppi nenella tecnologia degli schermi.

Se e quando l’elettricità verrà interrotta a causa dei problemi legati all’energia, e non potrò ricaricare i miei gadget elettronici, i miei libri saranno ancora disponibili per essere letti.

Se il guasto di un solo componente elettronico rende l’intero lettore ebook inservibile, i libri di carta saranno ancora lì, anche se un po’ ingialliti, umidi o con pagine sciupate.

Se non potrò permettermi di acquistare gli ultimi, sempre più sofisticati iPad o Kindle, i miei libri stampati non necessiteranno di alcun upgrade.

Quando i metalli rari necessari per l’industria elettronica saranno finiti, stampare un libro costerà meno del suo corrispondente elettronico, se consideriamo anche il costo dell’hardware. La carta e’ una risorsa altamente rinnovabile se utilizzata con i giusti criteri.

Poche aziende controllano il mercato degli ebook ed i governi sono in grado di conoscere e potenzialmente di controllare i libri che leggiamo decidendo ciò che è buono e ciò che non lo è interferendo con i nostri upload. Se arriviamo a questo, sarò ancora in grado di leggere i miei libri preferiti. Libri proibiti o controversi sono sempre stati disponibili anche sotto ai regimi più repressivi (tuttavia con maggiori difficoltà), mentre i formati elettronici possono essere tracciati e bloccati con facilità.

I libri stampati devono essere semplicemente portati con sè, mentre un lettore elettronico richiede più conoscenze tecniche, elettricità o batterie, cavi e spesso una connessione Internet.

I libri stampati invecchiano insieme a me, mentre un lettore ebook diventa obsoleto e necessita di essere rimpiazzato ad intervalli regolari.

I libri stampati non lampeggiano, non richiedono Internet, non mostrano le note e i commenti delle altre persone, non si connettono con i social networks dei lettori, non parlano, e non fanno nient’altro che essere letti.

Quindi le parole che escono da un libro stampato possono riverberare internamente a causa del vuoto circostante, come il battito di un tamburo ben accordato.

L’ideologia della macchina

L’ideologia della macchina

This is a guest post only in Italian.

Ospito con piacere un estratto dall’ultimo libro di Enrico Manicardi, “L’ultima era”, pubblicato da Mimemis Edizioni, acquistabile anche presso il sito www.enricomanicardi.it

«La tecnologia che promette di liberarci in realtà ci rende schiavi regolando le nostre attività in, e attraverso, lavoro e tempo libero; macchine e fabbriche inquinano i nostri ambienti e distruggono i nostri corpi; i loro prodotti ci offrono l’immagine della vita reale invece della sua sostanza»  Aufeben, n.4, estate 1995.

Nel mondo delle macchine, stiamo diventano macchine a nostra volta. Come tanti automi telecomandati siamo chiamati soltanto a seguire le istruzioni che ci vengono impartite e ad adempiere ai comandi imposti. In un concetto, dice bene Umberto Galimberti, nel mondo delle macchine siamo tutti chiamati a funzionare, proprio come funzionano le macchine.

Non c’è un dittatore umano che ci costringa a trasformarci in congegni dal rendimento utile, è la mentalità che abbiamo acquisito che ci dirige: la nostra educazione, la nostra istruzione, la nostra accettata libertà vigilata, i nostri sbrigativi rapporti con gli altri (e con noi stessi), la nostra indotta convinzione di non poter fare altrimenti. L’inganno che ci confina al ruolo di cinghie di trasmissione del Grande Motore, trova nell’ideologia della Macchina la sua stessa natura svelata, persino etimologicamente.

Il termine “macchina”, notava Remo Bodei (1), deriva proprio dalla parola greca mechané, che significa “inganno”, “artificio”, “astuzia”. «Testimonianza dell’antica illusione che si possa trasformare l’ambiente eludendone le leggi» (2), la macchina è il risultato della manipolazione della Natura finalizzata a sovvertirne il corso per porla al servizio degli scopi stabiliti dagli umani. «Preposta alla costruzione di entità artificiali, di trappole tese alla natura per catturarne l’energia e volgerla in direzione dei vantaggi e dei capricci degli uomini», la macchina appartiene «al regno dell’astuzia e di ciò che è “contro natura”», ne ha concluso il celebre filosofo della scienza italiano (3). Leggi tuttoL’ideologia della macchina

L’ideologia della macchina

Publishing News

Notizie editoriali

I am delighted to receive the IndieReader Discovery Award in the psychology category for The Digitally Divided Self: Relinquishing Our Awareness to the Internet. The winners, judged by top industry professionals, were announced at Book Expo America (BEA) in New York City.

In addition, I announce that The Digitally Divided Self will be translated into Italian by Bollati Boringhieri. I am honored to be published by such a prestigious publishing house so rich in history.

Special thanks to Stefano Mauri, chairman of GeMS, who in the last twenty years has tirelessly sustained the independence and high quality of Italian publishing. He has also strengthened the dissemination of book culture and the defense of the freedom of the press in Italy. I would like to say an additional thank you to Michele Luzzatto of Bollati Boringhieri for believing in The Digitally Divided Self and for helping with the structure of the Italian edition.

Finally, for several weeks in April and May, my free ebooklet titled Facebook Logout: Experiences and Reasons to Leave It was the number-one free bestseller in the General Technology & Reference area of Amazon’s Kindle Store. For reasons beyond my understanding, in some countries Amazon charges a VAT tax (a bit less than one Euro) on my “free” ebook while on Smashwords is completely free.

Sono felice di recevere il premio letterario The IndieReader Discovery Awards nella categoria Psychology per The Digitally Divided Self: Relinquishing our Awareness to the Internet. La giuria, formata da professionisti del mondo editoriale , ha annunciato i vincitori alla Book Expo America (BEA) a New York.

Inoltre, The Digitally Divided Self verrà tradotto in Italiano e pubblicato da Bollati Boringhieri editore nella collana Saggi Psicologia, con il titolo “Il sè digitale diviso”. Sono onorato dal fatto che l’edizione Italiana venga pubblicata da un marchio di tale prestigio e storia.

Un grazie particolare a Stefano Mauri, presidente del gruppo GeMS, che negli ultimi 20 anni ha contribuito instancabilmente all’indipendenza e al rilancio delle case editrice italiane di qualità, oltre che essersi prodigato per la diffusione della cultura libraria e per la difesa della libertà di stampa in Italia. Un ringraziamento anche a Michele Luzzatto di Bollati Boringhieri per aver creduto in The Digitally Divided Self e per il supporto nella definizione dell’edizione Italiana.

Infine, il mio piccolo ebook gratuito Facebook Logout: Experiences and Reasons to Leave it per diverse settimane a Marzo ed Aprile è stato primo in classifica nel Kindle Store di Amazon per l’area General Technology & Reference. Per ragioni fiscali che vanno al di là della mia comprensione, per alcune nazioni Amazon applica una tassa (di poco meno di un Euro, a seconda dello stato), mentre su Smashwords è completamente gratuito.

Melatonin, screen media, light and sexuality

Melatonin is a very important hormone secreted by the pineal gland in the brain (the seat of the soul, according to Descartes).  Since melatonin controls nearly every other hormone produced by the body, it is often defined as the master hormone.

Melatonin is involved in many physiological functions and has varied therapeutic applications: It acts as a neuroprotective; improves headache, bipolar disorders and ADHD symptoms; protects against Alzheimer’s disease; offers antioxidant properties; strengthens memory; improves cancer survival; protects from radiation; improves autism, and much more.

A 2012 study on obesity and diabets concludes that “epidemiological studies link short sleep duration and circadian disruption with higher risk of metabolic syndrome and diabetes” and “prolonged sleep restriction with concurrent circadian disruption alters metabolism and could increase the risk of obesity and diabetes.” (Buxton, 2012).

The popular use of melatonin supplements is for jet-lag symptoms, promoting sleep. Melatonin is produced by the pineal gland in darkness; thus, production takes place at night and is more pronounced in winter than in summer.

Being continually exposed to screen media and the light associated with it makes our brains believe it is still daytime.  Being exposed to such light during nighttime can disturb sleep patterns and trigger insomnia. While modern civilization has always used artificial light, the introduction of light-emitting laptops, tablet computers and smartphones created what Mercola (2011) defines on his website as “a state of permanent jet-lag.”  The light emitted by gadgets is much closer to us than ambient lights, which makes their melatonin-inhibiting action stronger.

Also, the type of light the screens emit makes a difference: Screen media mostly emit blue light, covering only a portion of the visible spectrum.  Our eyes are especially sensitive to blue light because it is the type of light normally found outdoors.  That way, gadgets can stop the production of melatonin needed for sleeping and for other health functions.  Among other risks, prolonged exposure to light can increase the risk of cancer.

Melatonin is also essential for healthy brain function, being one of the main endogenous brain antioxidants protecting the brain from free radicals.  Furthermore, there are connections between melatonin production and cognitive capabilities. Technology use, other than subtly affecting our psyches, has a direct physiological impact on our bodies, which, in turn, leads to changes in our inner attitudes.

Melatonin also has a strong connection with sexuality and sexual hormones. When melatonin levels rise in the body, usually in winter, testosterone levels drop, reducing sexual desire and frequency of mating.  For females, estrogen is also reduced. Just before puberty, melatonin levels drop suddenly by 75%, giving strong hints about the involvement of the hormone in the onset of puberty.

The last couple of decades saw a significant growth of precocious puberty, which, considering the concomitant massive use of screen media (video games, computers, Internet) by kids, can lead us to wonder whether there is a correlation between melatonin-inhibition by screen light and hormonal changes triggering early puberty.

Melatonin levels are inversely proportional to sexual desire and to the levels of sexual hormones.  Less melatonin, as when the production is inhibited by natural or screen light, increases sexual desire.  That’s probably good news for porn producers.

References

Mercola, F. (2011, January 10). The “sleep mistake” which boosts your risk of cancer.

Buxton, O.M., S. W. Cain, S. P. O’Connor, J. H. Porter, J. F. Duffy, W. Wang, C. A. Czeisler, S. A. Shea, Adverse Metabolic Consequences in Humans of Prolonged Sleep Restriction Combined with Circadian Disruption. Sci. Transl. Med. 4, 129ra43 (2012).

See also:

Close, Closer, Closest to the Screen

Per svariati impegni in questo periodo non riesco piu’ a gestire la doppia lingua. Poiche’ la maggior parte dei visitatori di questo blog arriva dall’estero, dovendo scegliere, ho optato temporaneamente per una lingua internationale. Credo che la maggior parte dei visitatori italiani di questo sito conosca l’inglese.

Clicca sulla bandierina britannica in alto a destra per l’articolo in inglese.

Facebook Logout: Experiences and Reasons to Leave it

Ivo Quartiroli - facebook logoutFacebook Logout: Experiences and Reasons to Leave it is available to download as a free eBooklet in different formats at Smashwords. Also is available at different ebook stores as Barnes & Noble and Kobo.

A special thank you to the contributors.

This is the Table of Contents:
Chapter 1: Musings about Facebook
The Quality of Relationships
Privacy Issues
Children
Facebook Changes the Concept of Friendship
The Inner Reasons to Leave
The Logout Process
Chapter 2: Logout Experiences
All Your Time or Nothing
This Time I Really Want to Leave it for Good
Bad Energy
Amplifier of an Inner Discomfort
Looking Through the Keyhole
An Affection-Compensating Tool
Boring to Death
Obsessive-Compulsive
From Village to Global Village
Reliving my Earlier Nightmares
Political Control
Not a Broad Communication
You Always Have to Feed the Beast
A Narrowed Down Tunnel-Vision Style of Contact
References

Ivo Quartiroli - facebook logoutFacebook Logout: Experiences and Reasons to Leave it è disponibile in Inglese per il download gratuito in diversi formati a Smashwords. E’ anche disponibile in diversi negozi online quali Barnes & Noble e Kobo.

Un grazie speciale a tutti coloro che hanno contribuito.

L’indice:

Chapter 1: Musings about Facebook
The Quality of Relationships
Privacy Issues
Children
Facebook Changes the Concept of Friendship
The Inner Reasons to Leave
The Logout Process
Chapter 2: Logout Experiences
All Your Time or Nothing
This Time I Really Want to Leave it for Good
Bad Energy
Amplifier of an Inner Discomfort
Looking Through the Keyhole
An Affection-Compensating Tool
Boring to Death
Obsessive-Compulsive
From Village to Global Village
Reliving my Earlier Nightmares
Political Control
Not a Broad Communication
You Always Have to Feed the Beast
A Narrowed Down Tunnel-Vision Style of Contact
References

Cybersocialità: la morte della socialità

This is a guest post in Italian only. The English version will be available in the future.

Oggi ospito un intervento/appello di Enrico Manicardi, che ho avuto modo di conoscere l’estate scorsa e di apprezzare la lettura del suo libro Liberi dalla Civiltà, un’opera importante che traccia le radici della civilta’ e la nostra dipendenza dalla tecnologia. Ivo Quartiroli

Cybersocialità: la morte della socialità di Enrico Manicardi

Parlare degli effetti che i social network hanno sulla vita moderna vuol dire parlare degli effetti della virtualizzazione della socialità. Dopo la virtualizzazione dell’esperienza personale trasfusa nell’epica della narrativa, dopo la virtualizzazione delle immagini portata dalla tecnologia ottica (fotografia, cinema, animazione), dopo la virtualizzazione della partecipazione sociale operata dalla politica (delega di poteri, farsa elettorale, appelli alle autorità), l’invasione del tecno-modo ci delizia della sua più recente conquista: la virtualizzazione della relazione.

Perché darsi la pena di far crescere rapporti personali quando è possibile, con un semplice “click”, trovare sempre qualcuno pronto ad interloquire con noi? Perché darsi la pena di parlare con il vicino di casa quando è possibile parlare con chiunque, nel mondo, connettendosi semplicemente ad Internet? Perché darsi la pena di mettere in piedi una serata conviviale con gli amici quando è possibile scandagliare migliaia di “eventi” già pronti e aderire quello più trendy?

L’esaurimento di tutto ciò che è vivo, reale, e il suo rimpiazzo con un’esistenza nella macchina, ci dice che il mondo in cui viviamo è sempre più sterile, impoverito, privo di calore. La tecnologia, con la sua promessa di ampliare le potenzialità umane, esercita in realtà l’effetto opposto: le esaurisce, le atrofizza, le spegne. E soprattutto impedisce ogni confronto tra ciò che essa mette a disposizione e ciò che toglie: interloquire con gli sconosciuti, appunto, invece di parlare negli occhi a qualcuno; numerare gli amici di Facebook invece di godere delle amicizie del cuore; aderire agli eventi programmati invece di creare convivialità.

L’invasione della tecnologia nel campo della socialità non è da meno. Non sono molti anni che i social network si sono diffusi nel mondo, eppure il termine “comunità” ha già perso tutta la sua carica vitale per trasformarsi in qualcosa di asettico e funzionale alla potenza della Macchina: comunità non è più quell’insieme di persone legate da vincoli solidaristici e di condivisione della vita, ma una rete di telecomunicazione e di sviluppo dei nuovi media.

Nel tecno-mondo non c’è posto per ciò che è umano, ma solo per ciò che è adattabile ai valori del tecno-mondo, ai suoi meccanismi di funzionamento, al suo potere. La planetarizzazione della tecnologia non svilupperà mai alcuna socialità, ma solo una “nuova” socialità che sarà sempre meno una socialità e sempre più una meccanica di relazione. La socialità morirà perché più saremo convinti che basti accendere un computer per essere “in contatto” con il mondo, più perderemo la capacità di accorgerci che nel computer non c’è il mondo ma un mondo: quello finto, programmato, spettacolarizzato e inconsistente della realtà virtuale.

E infatti, più dilagano i social network, più si spopolano i luoghi della socialità reale: le campagne, i cortili, le piazze, le strade. La gente non manifesta più, non si confronta più, non dibatte più su nulla. I bambini non giocano più tra loro ma da soli, appiccicati a monitor e a schermi digitali. Aumentano i nuclei monofamigliari, gli adulti non si fermano più fare quattro chiacchiere coi confinanti e persino gli anziani si divertono a chattare nella solitudine del loro sempre più crescente isolamento. Nel mondo della socialità telematica tutto cresce tranne la socialità: siamo sempre più soli, segregati, separati gli uni dagli altri, da noi stessi, dal nostro ambiente ecologico.

Dobbiamo riprenderci la nostra vita reale: quella immersa nel calore di relazioni vive e sensuali; quella che ci restituisce lo splendore di un’alba mattutina e i colori del mare, i canti della Terra, i sapori della vita e le sue avventure (e disavventure); quella che ci rende consapevoli di noi stessi e dunque anche responsabili verso gli altri, non indifferenti. Quella insomma che ci invita a spegnere computer, videotelefoni, iPad, iPod, iPhone e ci rimette a parlare con i nostri cari, ad abbracciare i nostri conoscenti, a baciare i nostri amici e compagni e a desiderare di essere persone reali e non “nickname”. Esseri umani, dunque, non macchine.

Enrico Manicardi è autore di Liberi dalla Civiltà.

Reasons to Leave Facebook

Motivi per lasciare Facebook

We are all familiar with active music bands, politicians, and actors, but we know much less about them after they change or stop their careers, resign, or retire. Often, however, the most interesting stories happen after someone consciously chooses a new life path.

Similarly, while participating in Facebook, we know almost everything about the people who are active, but we do not know much about the people who have slowed down their participation or left the site. There are at least as many reasons to slow down our commitment to or leave Facebook altogether than to be part of it.

If you are one of those who have chosen to not participate, to step down or take the full exit route from Facebook, please share your experience. Why did you leave Facebook? What were your concerns? Did anything happen to trigger your decision? I am collecting such experiences for an e-book about Facebook and about people’s attitudes toward social networks.  The e-book will be free.

I am especially interested in exploring your story and the inner motivations that made you step away from Facebook. I will quote your words without exposing your name or email address. I only need to know your gender, approximate age, and nationality (which can be as generic as “Southeast Asian,” “South American,” “Northern European,” or “Middle Eastern”). Of course, you will receive a copy of the e-book. In some cases, I will edit your words for stylistic reasons, but will always respect your content.

Please send your experience to ivotoshan (at) yahoo (dot) it. It can be few lines or several pages long as you like. Anyway I will give it my full attention. In case I need greater clarification, I will ask you. Also, if you know somebody who might contribute to my research, please forward this message to them.

You can see my opinion about Facebook on the following articles,

Resisting Facebook

After a Few Months on Facebook

The Game of Facebook

Thanks for any help you might give to ths project.

Ivo

Tutti conosciamo i gruppi musicali attivi, o gli attori del momento, ma sappiamo molto meno di loro dopo che cambiano o interrompono le loro carriere o quando si ritirano. Tuttavia, spesso le storie più interessanti di vita accadono quando qualcuno cambia consapevolmente il suo percorso di vita.

Analogamente, nella partecipazione a Facebook, sappiamo quasi tutto delle persone che sono molto attive, ma non sappiamo molto delle persone che hanno rallentato la loro presenza o hanno lasciato il sito. Ci sono perlomeno altrettanti motivi per diminuire il nostro impegno o per lasciare Facebook che per farne parte.

Se sei una di quelle persone che hanno scelto di non partecipare, rallentare o di prendere la via d’uscita da Facebook, per favore condividi la tua esperienza. Perchè hai lasciato Facebook e quali erano i motivi di discontento?  C’è stato qualcosa che ha scatenato la tua decisione? Sto raccogliendo esperienze simili per un ebook su Facebook e sulle opinioni delle persone riguardo ai social media, in particolare sui motivi per andarsese. L’ebook sarà gratuito.

Sono particolarmente interessato ad esplorare la tua storia con le motivazioni interiori che ti hanno portato ad allontanarti da Facebook. Riporterò le tue parole senza esporre il tuo nome o il tuo indirizzo email. Necessito solo sapere se sei maschio o femmina, l’età approssimativa e la nazionalità. Naturalmente, riceverai una copia dell’ebook. In qualche caso potrei lavorare sul tuo testo per motivi di scorrimento, ma ne rispetterò comunque il significato.

Per favore manda le tue esperienze a ivotoshan (chiocchiola) yahoo (punto) it. Può essere di alcune righe o diverse pagine, come preferisci. In ogni caso gli darò la mia completa attenzione. Nel caso che io necessitassi di maggiori chiarimenti, ti manderò una email. Inoltre, se conosci qualcuno che potrebbe contribuire alla mia ricerca, per favore mandagli questo messaggio.

Puoi leggere la mia opinione su Facebook ai seguenti articoli

Resistendo a Facebook

Dopo qualche mese su Facebook

Il gioco di Facebook

Grazie per qualsiasi contributo tu possa dare,

Ivo

Reading Aloud

“The printed or mass-produced book discouraged reading aloud, and reading aloud had been the practice of many centuries. Swift, silent scanning is a very different experience from manuscript perusal, with its acoustic invitation to savor words and phrases in many-leveled resonance. Silent reading has had many consequences for readers and writers alike, and it is a phase of print technology which may be disappearing” (Marshall McLuhan in a 1972 interview, from Understanding Me, MIT Press, 2005).

If nowadays we see somebody reading aloud, we may think that he is not fully literate. But we are not surprised to see people talking aloud on their mobile phones on the streets.

The advent of silent reading, according to McLuhan, had consequences both for privacy and for developing an individual point of view. Through Internet technology, we are back reading louder and louder. When we share our readings on social media, we read as loud as to the whole world, but what is weakening is the connection of words to our inner selves. It seems that, to hear our voices, we have to hear it in the echo of other people’s feedback through social media.

We no longer feel an inner resonance of what we read but need it to be bounced back to us by the infinite reverberations of the Net.