Children’s safety and mobile phones

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In a world which seems to be decreasingly safe for children, parents often feel more relaxed when their children have a mobile phone at their disposal, or even better, a GPS which can trace their position at any time. The idea is to have a permanent and direct connection with the children, bypassing any other net of connections with the territory and with the people who live and work there, mostly unknown and, therefore, seen as potentially dangerous.

Nevertheless, the availability of mobile phones and control systems do not bring more safety for children. The massive use of such technologies is, instead, itself part of the problem. Through their use there is a tendency of further ignoring the people and the situations of the neighborhood and the safety net which they give. The disconnection from the surrounding environment has, of course, roots older than use of mobile phones. A great deal of the territory has been taken over since long for use by cars and by other vehicles for the production, distribution and sale of goods.

When not connected with the territory and with the surrounding people, a child will not turn to the people near him, either in case of necessity or for generic communication. When I was a child, I remember that it was possible to refer to adults for any reason, and they mostly felt responsible regarding the small creatures of the community. Someone would also scold us, but it was part of life.

Nowadays an adult is afraid of contact with a child as much as a child fears contact with an adult. There is a culture of collective suspicion, therefore, an adult who communicates with a child risks being considered a pedophile or a child kidnapper. This way the basic need for contact, mutual interrelationships and human teaching between generations is mostly lost. Besides, a child is penalized by the scarceness of human contacts.

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In un mondo che sembra essere sempre meno sicuro per i bambini, i genitori spesso si sentono più tranquilli nel mettere a disposizione del minore un cellulare o magari addirittura un sistema di tracciamento della sua posizione con GPS. L’idea è quella di avere una connessione permanente e diretta verso i figli, bypassando qualsiasi rete di connessione col territorio e con le persone che ci vivono e ci lavorano, perlopiù sconosciute e quindi viste come potenzialmente pericolose.

Tuttavia la disponibilità di cellulari e di sistemi di controllo non rendono la vita più sicura per i bambini. L’uso massiccio di tali tecnologie è invece parte del problema stesso. Con esse si tende ad ignorare ulteriormente le persone e le situazioni del vicinato e la rete di sicurezza che queste danno. La disconnessione dall’ambiente circostante ha naturalmente radici molto più vecchie dell’uso dei cellulari. Buona parte del territorio è da tempo luogo funzionale al trasporto automobilistico e alla produzione, distribuzione e vendita delle merci.

Quando non siamo connessi con il territorio e con le persone che abbiamo intorno, il bambino non si rivolgerà  più alle persone che gli stanno vicino né in caso di necessità né per una generica comunicazione. Quando ero piccolo mi ricordo che ci si poteva rivolgere agli adulti per qualsiasi motivo, e questi perlopiù si responsabilizzavano nei confronti dei piccoli esseri della collettività. Qualcuno ci mandava anche a quel paese, ma faceva parte del gioco.

Ora l’adulto ha paura del contatto col bambino tanto quanto il minore ha timore del contatto con l’adulto. C’è una cultura di sospetto collettivo per cui l’adulto che comunica col bambino rischia di essere considerato pedofilo o rapitore di bambini. In questo modo si indebolisce un fondamentale bisogno di contatti, scambi e insegnamenti comportamentali e umani tra generazioni. Inoltre il bimbo viene penalizzato dalla poca varietà di contatti umani.

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