I click, therefore I am: Toward outsourcing our identity

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We are scattered over the Net, a piece in a social networking site, another piece in a different site, in a dating site, we write in our blog and we comment on others’ blogs, meet on chats and join forums on the most diverse subjects. Furthermore, we keep several contacts by email.

Our identities are becoming ever more fluid, we feel affiliated with various situations with only a part of ourselves. The real communities of family and friends too are now more like windows which maybe we would prefer to also manage in our computers. Lifelogging projects want to extend the scope of our life activities which are processed and managed online.

Sherry Turkle described in her books The Second Self: Computers and the Human Spirit (1984) and Life on the Screen: Identity in the Age of the Internet the exploration of the psychological parts in role-playing games and later on the Net. She thought that having the chance to live our object relationships could be important to individualize our identities.

One aspect of our online identities, explored by several experts, is the attenuation of inhibitions in online life. The superego, our psyche’s structure devoted to criticizing ourselves, to inhibit our actions and desires, is weakened by our online activity. Without superego pressure we can explore parts which are usually kept in the shadow.

Using false identities, as happened more frequently in the first years on the Internet, hides our real identities (partly for our own selves as well) and the superego is hidden along with it.

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Siamo sparpagliati nella rete, un pezzo su un sito di social networking, un pezzo su un altro, un altro pezzo su un sito di incontri, poi scriviamo sul nostro blog e commentiamo sui blog degli altri, ci troviamo sulle chat, e poi partecipiamo ai forum sui temi più disparati; inoltre manteniamo diversi contatti via email.

La nostra identità è sempre più fluida, ci sentiamo di appartenere alle diverse situazioni solo con una parte di noi stessi. Le comunità reali della famiglia e degli amici sono altre finestre che magari vorremmo poterle gestire a loro volta con computer. I progetti di lifelogging vogliono estendere le attività della nostra vita che vengono elaborate e gestite online.

Sherry Turkle aveva già descritto nel suo libro Il Secondo Io del 1984, e poi con La vita sullo schermo l’esplorazione delle parti psicologiche nei giochi di ruolo e poi nella Rete. La Turkle riteneva che il poter vivere i propri oggetti di relazione potesse essere importante per individuare la propria identità.

Un aspetto della nostra identità online, anche questo esplorato da diversi studiosi, è l’attenuazione delle inibizioni nella nostra vita online. Il superego, la struttura della nostra psiche dedicata a criticare noi stessi, ad inibire le nostre azioni e desideri, viene indebolito dalla nostra attività online. Senza la pressione del superego possiamo esplorare parti di noi stessi che normalmente sono in ombra.

Usare una falsa identità, come succedeva più frequentemente nei primi tempi della Rete, ci nasconde la nostra vera identità (in parte anche a noi stessi) e con questa anche il superego inibente.
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No identity

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Neuroscientist Susan Greenfield questions what technology is doing to human identity in Perspectives: Reinventing human identity (New Scientist of May 21, 2008.)

According to one estimate, Western children spend some six hours a day at a computer screen. Given the plasticity of the human brain, shouldn’t we ask how living effectively in two dimensions might leave its mark on neuronal connectivity?

Then she muses about whether it is a fact that interacting continuously with a fast-paced multimedia environment would predispose our brain to attention deficit disorder and, that

the visual world of the screen might affect our ability to develop the imagination and form the kind of abstract concepts that have until now come from first hearing stories, then reading on ones own. Will future generations prefer the here-and-now, opting for a strong sensory experience over a more personalized cognitive narrative? … Could we even end up living in a world where there is no personal narrative at all, no meaning, no context, just the experience of the thrill of the moment? Humans have always been hedonistic. Much of what we enjoy, from sex and drugs to fine food and wine, involves an abrogation of a sense of self. We “blow” our minds, “let ourselves go”: we are back in the booming, buzzing confusion of the moment, our identity suspended.

She calls this state the “Nobody” scenario, predisposed by twenty-first–century technology, different from the “Someone” identity of Western societies or the “Anyone” persona of collectivity cultures like communism. She also envisions a fourth “Eureka” scenario where creativity gives fulfillment and builds an individual identity.

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La neuroscienziata Susan Greenfield, su New Scientist del 21 Maggio 2008 si chiede qual è l’impatto della tecnologia sull’identità umana:

In accordo ad una stima, i bambini occidentali passano qualcosa come 6 ore al giorno di fronte ad uno schermo del computer. Data la plasticità del cervello umano, non dovremmo chiederci come il vivere di fatto in due dimensioni possa lasciare il segni sulle connessioni neuronali?

Quindi riflette sul fatto che una interazione continua con un ambiente multimediale veloce potrebbe predisporre il cervello al deficit di attenzione e che

il mondo visuale dello schermo potrebbe influire sulla nostra capacità di sviluppare l’immaginazione e formare il tipo di concetti astratti che fin’ora sono arrivati dall’ascolto delle storie e dalla lettura. Le future generazioni preferiranno il “qui e ora”, scegliendo un’esperienza sensoriale forte al posto di una narrativa cognitiva più personalizzata? […] Potrebbe anche essere che finiamo a vivere in un mondo dove non vi è alcuna narrativa personale, nessun significato, nessun contesto, solo l’esperienza del brivido del momento? Gli esseri umani sono sempre stati edonisti. La maggior parte di ciò di cui gioiamo, dal sesso alle droghe al buon cibo e al vino, comporta un’abrogazione del senso di sé. Ci troviamo nella rimbombante ebbrezza del momento, con la nostra identità sospesa.

Susan Greenfield chiama questo stato lo scenario “Nessuno”, indotto dalla tecnologia del ventunesimo secolo, diverso dall’identità “Qualcuno” delle società occidentali o della persona “Chiunque” delle culture collettivistiche quali il comunismo. Anche, lei concepisce un quarto scenario “Eureka” dove la creatività dà appagamento e crea un’identità individuale.

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