Google Lively is dead

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Google recently discontinued Lively, the Second Life-like project. Even though that’s only one out of many of Google’s projects, it’s symbolic of a turning point from representation to reality.

In 1978, Jerry Mander in Four Arguments for the Elimination of Television (Quill, 1978) wrote:

In one generation, out of hundreds of thousands in human evolution, America had become the first culture to have substituted secondary, mediated versions of experience for direct experience of the world. Interpretation and representations of the world were being accepted as experience, and the difference between the two was obscure for most of us.

Thirty years later, it is not just about America and not just about TV. The detachment from direct experience grew layers. The attitude of substituting reality with mental representation was also one of the causes of the current financial problems, which constructed the illusionary “wealth,” considering information flowing through the cables as real goods.

Affirming that nothing is real is true both on the neurophysiological and spiritual levels. We have all heard that, especially in the Eastern traditions, the world is “maya,” an appearance, or illusion. Also, one of the mantras of people who populate the virtual worlds is to question reality saying that “there is nothing real in reality” since our experience is in any case mediated by our senses and by our nervous system which, starting from the mechanism of vision itself, only interprets reality. Following this line of thought we can say that there’s no objective reality and perhaps there’s no reality too, since every experience is mediated by our nervous system.

There’s an apparent concordance between neuroscientists, technical creators of virtual worlds and spiritual teachers. All of them, in different ways, say that the world in an illusion.

Since the times of Buddha and Plato, that the world is our representation has been a philosophical, metaphysical, psychological and spiritual assumption much before science and technology came into our lives. Philosophers and mystics expressed this in a much more sophisticated way than any software environment or technocrat.

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Recentemente, Google ha chiuso Lively, il progetto ispirato a Second Life. Anche se questo era solo uno dei molti progetti di Google, il suo termine rappresenta un punto di svolta dalla rappresentazione alla realtà.
Nel 1978, Jerry Mander ha scritto in Quattro argomenti per eliminare la televisione (Quill, 1978; ed. italiana: Edizioni Dedalo, 1982):

Dopo centinaia di migliaia di generazioni, l’America, nello spazio di una sola generazione, è diventata la prima cultura ad aver sostituito l’esperienza diretta del mondo con suoi sostituti mediati e secondari. Interpretazioni e rappresentazioni vengono accettate come esperienze, e la maggior parte di noi ignora quale sia la differenza tra le due.

Trenta anni dopo, questo discorso non riguarda solo l’America e non è più solo relativo alla televisione. Il distacco dall’esperienza diretta si è fatto sempre più grande. La sostituzione della realtà con una rappresentazione mentale è anche stata una delle cause dell’attuale crisi finanziaria, perché ha creato una “ricchezza” illusoria dove le informazioni che attraversavano i cavi venivano considerate come beni reali.

Affermare che niente è reale è vero sia a livello neurofisiologico che spirituale. Tutti abbiamo sentito dire, in particolare nella tradizioni dell’Oriente, che il mondo è “maya”, apparenza e illusione. Inoltre, una delle posizioni ricorrenti delle persone che popolanoi mondi virtuali è mettere in dubbio la realtà affermando che “non c’è nulla di reale nella realtà”, poiché la nostra esperienza è in ogni caso mediata dai sensi e dal sistema nervoso i quali, a partire dal meccanismo stesso della visione, non fanno altro che interpretare la realtà. Secondo questo modo di pensare, possiamo dire che non esiste una realtà oggettiva e che forse non esiste nemmeno la realtà, in quanto ogni esperienza è mediata dal nostro sistema nervoso.

Tra i neuroscienziati, i tecnici creatori di mondi virtuali e gli insegnanti spirituali esiste un’apparente concordanza: tutti, in modi diversi, sostengono che il mondo è un’illusione.

È dai tempi del Buddha e di Platone, e anche prima di questi, ovvero molto prima che la scienza e la tecnologia entrassero nella nostra vita, che si parla del mondo come rappresentazione, a livello filosofico, metafisico, psicologico e spirituale. I filosofi e i mistici hanno espresso questo concetto in modo molto più sofisticato di qualsiasi ambiente software o tecnocrate.

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I click, therefore I am: Toward outsourcing our identity

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We are scattered over the Net, a piece in a social networking site, another piece in a different site, in a dating site, we write in our blog and we comment on others’ blogs, meet on chats and join forums on the most diverse subjects. Furthermore, we keep several contacts by email.

Our identities are becoming ever more fluid, we feel affiliated with various situations with only a part of ourselves. The real communities of family and friends too are now more like windows which maybe we would prefer to also manage in our computers. Lifelogging projects want to extend the scope of our life activities which are processed and managed online.

Sherry Turkle described in her books The Second Self: Computers and the Human Spirit (1984) and Life on the Screen: Identity in the Age of the Internet the exploration of the psychological parts in role-playing games and later on the Net. She thought that having the chance to live our object relationships could be important to individualize our identities.

One aspect of our online identities, explored by several experts, is the attenuation of inhibitions in online life. The superego, our psyche’s structure devoted to criticizing ourselves, to inhibit our actions and desires, is weakened by our online activity. Without superego pressure we can explore parts which are usually kept in the shadow.

Using false identities, as happened more frequently in the first years on the Internet, hides our real identities (partly for our own selves as well) and the superego is hidden along with it.

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Siamo sparpagliati nella rete, un pezzo su un sito di social networking, un pezzo su un altro, un altro pezzo su un sito di incontri, poi scriviamo sul nostro blog e commentiamo sui blog degli altri, ci troviamo sulle chat, e poi partecipiamo ai forum sui temi più disparati; inoltre manteniamo diversi contatti via email.

La nostra identità è sempre più fluida, ci sentiamo di appartenere alle diverse situazioni solo con una parte di noi stessi. Le comunità reali della famiglia e degli amici sono altre finestre che magari vorremmo poterle gestire a loro volta con computer. I progetti di lifelogging vogliono estendere le attività della nostra vita che vengono elaborate e gestite online.

Sherry Turkle aveva già descritto nel suo libro Il Secondo Io del 1984, e poi con La vita sullo schermo l’esplorazione delle parti psicologiche nei giochi di ruolo e poi nella Rete. La Turkle riteneva che il poter vivere i propri oggetti di relazione potesse essere importante per individuare la propria identità.

Un aspetto della nostra identità online, anche questo esplorato da diversi studiosi, è l’attenuazione delle inibizioni nella nostra vita online. Il superego, la struttura della nostra psiche dedicata a criticare noi stessi, ad inibire le nostre azioni e desideri, viene indebolito dalla nostra attività online. Senza la pressione del superego possiamo esplorare parti di noi stessi che normalmente sono in ombra.

Usare una falsa identità, come succedeva più frequentemente nei primi tempi della Rete, ci nasconde la nostra vera identità (in parte anche a noi stessi) e con questa anche il superego inibente.
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